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"Centopiazze" per Roma

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mappa dei luoghi - strade e piazze

Nel 1994 l’amministrazione comunale di Roma concepì un nuovo modello di città, collocando all’interno di questa idea di complessiva riconfigurazione urbana, l’obiettivo di ridisegnare e riqualificare gli spazi aperti. In questo contesto matura il programma “Centopiazze”, promosso e coordinato dall’Architetto Francesco Ghio, che dagli anni ’90 in poi, durante le consiliature dei Sindaci Francesco Rutelli e Walter Veltroni, ha interessato il territorio romano con numerosi interventi negli spazi pubblici dell’intera città: dal centro alla periferia più estrema.
Si è trattato di una grande iniziativa che ha coinvolto, probabilmente per l’unica volta dopo il dopoguerra, la città nella sua interezza, intervenendo in modo sistematico per la riqualificazione e la valorizzazione di interi quartieri, soprattutto periferici (ma non solo), partendo dalle piazze e dagli spazi aperti, per ricostituire il tessuto connettivo di un territorio frammentato e disordinato. Come abbiamo già messo in evidenza in altre parti, Roma contemporanea si presenta come una realtà polimorfa che alterna quartieri a densità variabile germogliati in modo a volte spontaneo all'interno dell’agro romano, senza una sua definita riconoscibilità, ma come disordine “auto organizzato“ modellato dall'incuria dell’amministrazione pubblica e dall'adattamento delle condizioni di vita determinato dalla mano dei cittadini residenti nelle zone periferiche, i quali si sono abituati a ricostruire condizioni di habitat al di fuori delle regole della programmazione urbana, ma coerenti con le esigenze di prossimità.
Il pensiero che animò i promotori del progetto “Centopiazze” voleva quindi rompere il circolo vizioso dello spontaneo adattarsi delle cose, verificatosi sino ad allora, con l‘idea che, intervenire su un complesso cittadino nel quale ridefinire le strutture elementari della relazione tra le persone e ravvivare lo spirito di partecipazione, potesse contribuire alla costruzione di una dimensione del vivere adeguata ad una condizione moderna. Erano quelli, infatti, anni di grande partecipazione e la caratteristica principale del progetto fu proprio quella di coinvolgere i cittadini alle decisioni e alle trasformazioni della città.
La mappa dei luoghi fotografati in questo capitolo, è stata ricostruita attraverso la consultazione di un prezioso volume pubblicato recentemente, quando l’idea di un approfondimento fotografico in quei posti era da me già stata presa in considerazione, ma il materiale che girava era assai scarso e, soprattutto, non esaustivo. Il volume “Programma Centopiazze per Roma” raccoglie la mappa degli interventi e una antologia di progetti che descrivono l’intero programma, su iniziata dall'Arch. Prof. Francesco Ghio, frutto di una ricerca condotta e portata a termine dalla Prof.ssa Maria Grazia Cianci.
Le fotografie, invece, testimoniano lo stato dei luoghi, lasciando libero l'osservatore di farsi una idea sulla più o meno riuscita degli intenti dei promotori di “Centopiazze”.

la città del papa: storie di chiese e di periferie

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mappa dei luoghi - suburbans churches

Questo capitolo esplora fotograficamente il territorio urbano intorno ai nuovi complessi parrocchiali realizzati, a partire dall’anno 2000 (anno del Grande Giubileo svoltosi durante il pontificato di Giovanni Paolo II), su iniziativa dell'Ufficio dell'Opera Romana per la Preservazione della Fede e la Provvista di Nuove Chiese (struttura operativa del Vicariato di Roma fondata nel 1930).
Il lavoro segue le indicazioni di un prezioso volume dal titolo “Chiese della periferia romana 2000-2013" che raccoglie gli esiti dei concorsi nazionali e degli incarichi diretti dall'Ufficio Pontificio, considerando il periodo che va dall'anno del Grande Giubileo del 2000 al 2013, ricorrenza del diciassettesimo secolo dell'editto di Costantino, anno della nascita ufficiale del Cristianesimo nella città di Roma (Marco Petreschi e Nilda Valentin - Electa, 2013).
Queste nuove chiese si collocano, nelle intenzioni dei progettisti, all’interno del territorio sostituendo le biblioteche, le piazze e i centri commerciali, nell’intento di rafforzare, o meglio di costruire, un fattore identitario per ciascun quartiere ubicato nelle aree periferiche urbane della città. Le chiese vengono quindi concepite come nuove forme di centralità all’interno di periferie rese autosufficienti rispetto al resto della città, con quartieri dotati di scuole, centri parrocchiali, biblioteche di quartiere, parchi, centri sportivi, cinema, teatro, sale per esposizioni, ecc.
Inutile dire che il nobile intento dei progettisti sia quasi sempre stato tradito nel seguito per via del sostanziale abbandono dei territori da parte delle diverse amministrazioni che si sono succedute nel tempo.
È pur vero che l’edificazione dei luoghi culto ha sempre accompagnato lo sviluppo della città, soprattutto nelle periferie, almeno a partire dal concordato del 1929. Inoltre, già a partire dalla seconda metà egli anni ’70 del ‘900 si era cercato, con la creazione di nuovi centri parrocchiali, di tamponare la mancanza cronica dei servizi sociali più importanti e ancora alla fine degli anni ’80 del Novecento, con la costruzione dei nuovi complessi parrocchiali con cui si tentava di creare spazi comunitari nei quartieri periferici senza servizi e con un alto tasso demografico. In quel periodo il Comune di Roma e la Pontificia Opera per la Preservazione della Fede programmarono l’edificazione di 50 nuove chiese da realizzarsi nella periferia cittadina unitamente all’edificazione di nuove piazze e fontane per rinsaldare il tessuto connettivo urbano e tentare di ricucire brani di città ormai degradati, orientando al contempo la crescita e lo sviluppo degli insediamenti di nuova costruzione.
Partendo da questi stessi presupposti, in occasione dell’anno giubilare del Duemila sono partite diverse iniziative volte a coinvolgere grandi architetti e nomi di fama internazionale nella realizzazione dei nuovi progetti. Molte delle chiese sono “firmate” da grandi architetti e tra queste spiccano Marco Petreschi, Richard Meier, Antonio Monestiroli, Alessandro Anselmi, Italo Rota, Francesco Garofalo. Degli edifici presi in considerazione probabilmente il lavoro più conosciuto è la Chiesa “Dives in Misericordia”, progettata dall’archistar internazionale Richard Meier e inaugurata il 26 ottobre del 2003, precedente originale nella storia dell'edilizia di culto.
Lo sguardo fotografico d’insieme ci consente di comprendere come le chiese non svolgano soltanto il ruolo di garanti della diffusione del culto e della fede, ma anche quello di avamposto all’avanzare della città e sono spesso delle “testa di ponte” delle iniziative speculative e di sfruttamento del suolo, quali veri e propri “aggregatori di interessi immobiliari”, con lo scopo di “valorizzare” gli insediamenti in gran parte abusivi e spontanei intorno ai quali orientare quel che resta della programmazione urbanistica e far nascere nuovi quartieri, in un contesto generale che assomiglia più ad una marmellata che ad una moderna città europea.
È difficile negare, infatti, l’intreccio tra interessi di fede e interessi immobiliari, soprattutto se si pensa che una delle più importanti società immobiliari della capitale - tra i maggiori proprietari fondiari e il più importante promotore edilizio della città - è stata la Società Generale Immobiliare di lavori di utilità pubblica ed agricola, nota come Società Generale Immobiliare o semplicemente Immobiliare (o SGI) di Roma, controllata dal Vaticano per poi passare, nel 1968, sotto il controllo di Michele Sindona e fallire nel 1987; questo gruppo Immobiliare operò in un vasto spettro di settori: dall’edilizia residenziale a quella direzionale, dalle strutture ricettive a quelle commerciali e ricreative, fino alle opere pubbliche e alle grandi infrastrutture.
A Roma, però, a partire dall’inizio degli anni Cinquanta del ‘900, l’attività dell’Immobiliare interessò quasi esclusivamente le zone periferiche e suburbane di espansione, disponendo di un ampio patrimonio di aree edificabili, in parte accumulato sin da prima della guerra, in virtù del quale figurava tra i principali proprietari fondiari della città.
Nel 2007, l’anno che precede la grande crisi del 2008, veniva approvato il Piano regolatore di Roma che, di fatto, consegnava lo sviluppo della città alla speculazione fondiaria negli anni a venire. Sono anche gli anni in cui si sviluppa il programma di edificazione delle chiese oggetto di questo lavoro: esaminandolo con uno sguardo d’insieme, osservando il posizionamento dei singoli edifici sulla mappa della città e seguendo la loro progressiva realizzazione, appare molto evidente l’intreccio tra interessi di fede e interessi immobiliari.
Come già osservato, questo processo non nasce negli ultimi anni, ma accompagna l’ampliamento di Roma dal Concordato del 1929 in poi: non a caso l’Opera Romana per la Preservazione della Fede e la Provvista di Nuove Chiese vede la luce il 5 agosto del 1930 per volontà di papa Pio XI col nome di “Pontificia opera per la preservazione della fede e la provvista di nuove chiese in Roma”, per divenire “affare romano”, per lettera apostolica in forma di Motu Propriu del 1º luglio 1989, diramata da papa Giovanni Paolo II che stabilì di far passare l’istituto sotto la giurisdizione immediata e diretta del Cardinale Vicario Generale per la Città di Roma.
Questo sviluppo dell’edilizia di culto accompagna l’inesorabile e disordinata espansione di Roma verso la periferia ed è un fenomeno che continua tutt’ora, nonostante i quartieri periferici siano sempre più luoghi multireligiosi in cui si registra il calo esponenziale della partecipazione religiosa della popolazione che si reca in chiesa. Ciononostante, nel 2010, nonostante i segni marcati della crisi dell’edilizia e nonostante quote crescenti di invenduto e di significativo calo di valore degli immobili, il Sindaco di Roma Gianni Alemanno ha annunciato la realizzazione di 51 nuovi istituti di culto nelle nuove periferie della città, in accordo col Vicariato.
In tutto questo le chiese sono lì, edifici riconoscibili, a marcare il territorio con una indicazione di fede che va spegnendosi, specialmente nelle nuove generazioni, annegate nella fredda funzionalità dei progettisti che le hanno volute così diverse dalle tipologie edilizie in cui sono immerse, da diventare cammei ad ornamento di uno stereotipato divenire.

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