Ai margini degli Archi
"C’era n’arco, e qui ce se costruiva casa. Sotto l’arco: ce s’attaccavano i travi, e si faceva il tetto. Poi, chi c’aveva la possibilità di farlo in muratura, s’o faceva in muratura: ma quasi tutti. Perché poi papà faceva il muratore; co’ questi qua se metteva daccordo, un po’ pijava la pozzolana, poi costruivano. Non c’era manco sta cosa che uno doveva fa’ i sòrdi: no, se davano ‘na mano tutti quanti, l’uno co’ l’altro, pe’ fa’ ‘a casa." (Daniele Bianchi, ex baraccato).
“Ricordo che un giorno passando per il Mandrione … c’erano, davanti ai loro tuguri, a ruzzare sul fango lurido, dei ragazzini, dai due ai quattro o cinque anni. Erano vestiti con degli stracci … correvano qua e là, senza le regole di un giuoco qualsiasi: si muovevano, si agitavano come se fossero ciechi, in quei pochi metri quadrati dov’erano nati e dove erano sempre rimasti …” (Pier Paolo Pasolini, “Vie Nuove”, maggio 1958).
Nel luogo dove oggi si estende il percorso degli acquedotti Alessandrino, Felice e Claudio, in parte all’interno del Parco degli Acquedotti, ai margini degli archi, fino agli inizi degli anni Settanta si allargava una delle baraccopoli più ampie di Roma. Un disagio tenuto nascosto sotto il tappeto della città per decenni. La zona fu inizialmente occupata dagli sfollati del bombardamento di San Lorenzo del 1943, che vi costruirono delle baracche sotto gli archi dell’acquedotto Felice.
La maggior parte degli abitanti dell’acquedotto erano braccianti o contadini provenienti dalle campagne circostanti, dagli Abruzzi o dal Sud Italia, immigrati illegalmente per lavorare come manovali o muratori nei tanti cantieri della città in espansione, respinti dalla città, fino al 1961, dalle leggi «contro l’urbanesimo» promulgate durante il regime fascista, con cui venivano allontanati dalla città coloro che non avevano un contratto di lavoro già stipulato.
Molti erano operai edili e si costruirono da soli queste abitazioni di fortuna, utilizzando materiali riciclati dalle demolizioni o dai cantieri e accompagnate da un orto. Le costruzioni si estendevano su entrambi i lati dell’acquedotto; nel corso del tempo di fronte ad esse, sia da un lato che dall’altro, ne sorsero altre, indipendenti dall’acquedotto.
La vita, lì, continuò ben oltre la guerra, sotto gli archi chiusi alla meno peggio e in terribili condizioni igieniche, scandalo della Roma ai tempi del boom economico e fino alla fine degli anni '70 del 900. Un ricordo lontano che sembra ora tornare, con le nuove baracche di Tor Fiscale, decine di abitazioni abusive costruite sulle orme delle precedenti del dopoguerra e affittate, a prezzi vertiginosi, a stranieri senza permesso di soggiorno, ma anche a italiani, che sono almeno la metà.
Gli archi romani sono sempre là!