Bastogi, come un gatto in tangenziale
Fa pensare il fatto che serva un film comico per portare all’onore delle cronache una certa periferia romana, come luogo in cui le persone si organizzano la vita, nonostante il disagio, restituendo un’immagine che non racconta solo un luogo di perdizione e sfaceli. Il segno evidente da cui te ne accorgi è la scritta che ti accoglie sul muro all’ingresso del comprensorio che dice semplicemente “Bastogi”, senza altra qualificazione e, soprattutto, senza l’aggiunta che abbiamo visto nel film stesso: “lasciate ogni speranza o voi k’entrate”. Su quello stesso muro quella scritta non c’è più … Bastogi è inclusiva, non ti da il benvenuto, ma neanche ti caccia via. Bastogi accoglie e marca il territorio, come fosse uno dei tanti borghi della provincia italiana: "E' un paese, ci conosciamo tutti, ci facciamo forza e ci aiutiamo, ma i politici ci hanno abbandonato". La narrazione della periferia romana degradata (non che non sia veramente così!) serve allora, forse è soltanto per consentire a questo o quell’altro candidato sindaco, magari arrivato qui col suo pulmino, per “annunciare” le proprie intenzioni di ripartire dalle periferie, facendo leva sull’immaginario collettivo del degrado e della disperazione, con l’idea di “esportare la città”, come gli americani vogliono esportare la democrazia, spolpando, come corvi sui cassonetti, l’identità autentica dei luoghi . Ma in realtà qui a Bastogi di città ce n’è di più che a Piazza Mazzini, perché qui la gente ci vive e si organizza, inascoltata, anche ai margini del GRA, con il Comitato di quartiere, con la scuola di box, con la solidarietà degli ultimi.